mercoledì 28 gennaio 2015

Capitolo 57




Bella Pov.


Da quel giorno in aeroporto sono passati tre mesi e dieci giorni.
Seth è andato a Londra a trovare James, grazie al biglietto regalatogli a Natale. Era così contento quando è tornato che doveva essere per forza successo qualcosa di bello, qualcosa di molto bello. In cuor mio speravo che James gli avesse confessato la sua voglia di venire a Seattle, di restare con lui qui, definitivamente. Il mio fratellastro però non si è sbottonato troppo sulla questione. Ha preferito raccontarci a grandi linee come aveva passato quei giorni, senza entrare nei dettagli. Dire che morivo dalla curiosità era un eufemismo.
Avevo chiesto spiegazioni a Edward in una delle tante videochiamate, per lui notturne per me pomeridiane, ma anche lui brancolava nel buio.
Ebbene sì, con Edward le cose procedevano a meraviglia. Il suo tirocinio prevedeva settimane tranquille, settimane frenetiche, settimane in cui il lavoro era infinito e tornava a casa con ore di ritardo, giorni in cui c’era quasi calma piatta e riusciva a rilassarsi e recuperare un po’ di sonno perduto.
Aveva mantenuto la sua promessa, nonostante tutto. Quando aveva un momento libero mi chiamava, era sempre sorridente anche se capivo dai suoi occhi quando era stanco, arrabbiato o quando era semplicemente triste. Avevo imparato, stando con lui, che anche gli uomini a volte erano malinconici per gli stessi motivi per cui lo eravamo noi femminucce. Quando la prima volta mi aveva guardato e, allungando una mano sullo schermo come se potesse accarezzarmi davvero, mi aveva detto “Mi manchi piccola” mi ero completamente sciolta e avrei tanto voluto usare il biglietto che mi aveva regalato.
E invece mi sono commossa, gli ho sorriso e gli ho risposto che anche lui mi mancava, ma che avevo trovato la sua camicia nell’armadio. Lui aveva ridacchiato e mi sono fatta raccontare di come era riuscito a nasconderla così bene.
Ogni giorno poi scoprivo un biglietto, un pacchettino, piccoli regalini, come se avesse pensato per me una caccia al tesoro. Ad ogni ritrovamento sorridevo e mi commuovevo. Era stato così attento e premuroso, così dannatamente romantico che non lo dissi a nessuno, volevo che restasse una cosa solo mia, per paura che rovinassero l’atmosfera e la favola in cui ero caduta.
C’erano stati momenti difficili, quelli in cui mi veniva da piangere e mi trovavo a stringere la sua camicia tutta la notte, bagnandola con le lacrime malinconiche. C’erano stati momenti in cui mi arrabbiavo con me stessa per aver scelto di restare a Forks e non essere partita con lui. Poi guardavo Claire, Sue, mio padre…mi guardavo attorno e mi accorgevo che tutte queste cose a Londra mi erano mancate fino all’osso, che ero stata già troppo tempo lontana da casa, per troppi motivi e quello era il momento giusto per essere in famiglia.
Pochi giorni prima di San Valentino una scuola di Seattle, a cui avevo mandato un curriculum, mi ha chiamata per un colloquio. Pensavo fosse il solito buco nell’acqua, il solito “le faremo sapere” che poi cade irrimediabilmente nel dimenticatoio. Invece no. Il giorno dopo mi hanno contattata per prendere appuntamento e firmare un contratto di tre anni, avrei insegnato in un liceo a partire da quel Settembre.
Ero contenta. Felice. Realizzata.
Avevo chiamato le ragazze, Tanya aveva fatto una delle sue solite battutine, Alice e Angela invece erano la felicità in persona. Mi mancavano. Quelle tre pazze, amiche completamente fuori di testa, coinquiline meravigliose…avevano riempito il mio cuore per molto tempo e ancora adesso ne occupavano buona parte. Abbiamo concluso la nostra videochiamata un’ora e mezza dopo, nonostante i nostri rapporti non si siano mai raffreddati, nonostante continuiamo a mantenerci in contatto e chiamarci tre volte alla settimana, abbiamo sempre qualcosa di cui chiacchierare. Dopo di loro è stata la volta di Edward. Era così entusiasta per me che mi sono commossa.
Quando ami qualcuno, anche se è a distanza di miglia e miglia, non ti importa che continuerà a essere distante; la cosa davvero essenziale è saperlo felice e orgoglioso di sé stesso. Mi ha ripetuto mille volte quanto fosse orgoglioso di me, ed anche se a volte non lo diceva a parole i suoi gesti, i suoi occhi, il suo sorriso e la passione nel parlare ne erano un chiaro segno.
Tante volte in queste settimane mi sono trovata a fantasticare o a ricordare. I momenti in cui tornavo indietro nel tempo erano quelli più dolorosi. Chissà perché, solitamente, quando guardi indietro riesci a vedere solo le cose negative e con molta difficoltà riemergono quegli istanti belli e romantici. E’ quello che mi è accaduto ancora una volta. Tornare indietro nel tempo, pensare alle liti, pensare al periodo subito dopo alla sua vittoria, quando il successo aveva cambiato la sua vita e la nostra relazione appena nata. Adesso, con il senno di poi, mi rendo conto di quanto eravamo impreparati ad accogliere una rivoluzione così, nelle nostre vite. Solo dopo tutto questo tempo mi accorgo di quanto sia stata stupida nel tentare di salvare qualcosa che a quel tempo non era fatto per noi. Non eravamo adatti a vivere quel momento, non eravamo pronti. La nostra storia era costruita su fondamenta troppo instabili, per quanto avessimo aspettato, per quanto avessimo fatto tutto con calma…Non potevamo reggere il peso del successo, delle feste sfarzose, della gente arrogante, arrivista e dei mille impegni che ci dividevano.
Ogni volta che pensavo a quei giorni, a quelle settimane, era inevitabile accarezzarmi le braccia o toccare la gamba all’altezza di quelle cicatrici che mi avrebbero accompagnata nel tempo. Lo facevo senza rendermene conto, erano gesti automatici. Quelli erano i miei segni sulla pelle più dolorosi, più dei tatuaggi, più delle ferite da bambina. Quella parte di me sarebbe sempre rimasta lì a ricordarmi gli errori che sono stati fatti in passato e che non devono essere ripetuti; errori che ci potevano costare la vita ad un certo punto…ma che ci hanno insegnato quanto siamo importanti l’uno per l’altra, alla fine.
Mi stringevo addosso la sua camicia o tra le mani qualcosa che mi aveva lasciato qui in camera, e quando sentivo le lacrime arrivare le scacciavo, pensando che anche se eravamo lontani, ora come allora, non era la stessa cosa. Non dicevo nulla a Edward per non farlo preoccupare, per non fargli credere che fossi debole, per non rischiare di sentire di nuovo le sue scuse. Non ne avevo bisogno.
Ma non gli raccontavo neppure delle mie fantasie, dei momenti in cui pensavo alla casa, l’appartamento dove potevamo vivere insieme, o ad un cane da accudire. Immaginavo di scegliere insieme i soprammobili, le lenzuola per il nostro letto, il sapone per le mani e tutte quelle cose dal sapore di quotidianità.
A volte, mentre Leah e Jake parlavano o quando non ero la diretta destinataria del discorso, mi isolavo e immaginavo di avere Edward al mio fianco, di passeggiare per qualche via finito l’orario di lavoro o di preparare il pranzo alla domenica per le nostre famiglie. Sognavo ad occhi aperti e mi ritrovavo a sorridere.
Poi tornavo con i piedi per terra, con quattro paia di occhi rivolti verso di me, curiosi e in attesa.
-Parlavate con me? – domandai cercando di buttarla sul ridere, cosa che riuscii a fare dato che poi scoppiarono tutti e quattro insieme.
-No, scherzi? Guardavamo solo il tuo viso, devi essere andata da poco dall’estetista…perché sei così rilassata! – dice Leah fermandosi un secondo dal ridere, ma so già che non è finita qui la sua battuta. –Quello…oppure stavi pensando a come stenderai sul letto o sul pavimento Edward quando andrai a trovarlo!
Un altro colpo di risa li coinvolse, anche se io non ci trovavo nulla di così esilarante.
-Allora, quando pensi di usare quel biglietto per Londra? – la domanda si ripete all’infinito. In questi mesi me l’avranno posta mille volte, ed io ho sempre scosso le spalle e glissato sull’argomento. Lo faccio anche questa volta, guadagnandomi un’occhiataccia da Seth.
-Bella…il biglietto te l’ha regalato perché lo utilizzassi…- mi tappo metaforicamente le orecchie e penso ad altro, mentre seguo con il dito le linee del tavolo in legno su cui sono appoggiati i nostri bicchieri. Sempre la stessa cosa. Edward mi ha regalato il biglietto, devo usarlo, non posso far passare altri tre mesi perché allora lui avrebbe finito il tirocinio, magari anche gli esami e sarebbe passato troppo tempo senza vederlo. Ma se i problemi non me li facevo io…perché mai devono farseli loro?
Inoltre, da quando Seth e Leah hanno appianato le loro divergenze, da quando si sono chiariti rimanendo due giorni in casa a parlare di tutto, il mio fratellastro non patteggia più per me. Sta dall’altra parte della barricata insieme agli altri. Jake poi, non ne parliamo! E’ il primo che spinge affinché io parta, perché faccia qualcosa per stare con Edward, per essere sicura di non perderlo. Ma se non me li faccio io i problemi, perché loro?
Il fatto sostanziale in realtà è che le domande me le pongo anche io, i problemi, i dubbi, i fraintendimenti, alimentano un senso di angoscia che tante volte mi prende e non mi lascia respirare bene. In più gli occhi mi si riempiono sempre di lacrime e mi vergogno, mi sento a disagio a mostrarmi così debole davanti a lui. Il più delle volte, quindi, mi capita di lasciarmi andare quando sono da sola, o con Seth, il quale poi fa la gallinaccia di paese e va a raccontare i fatti miei agli altri.
-Lo so come la pensate, l’avete già detto e ridetto, davvero avete ragione. Ma non me la sento di partire adesso, in questo momento Edward ha bisogno di tranquillità e non di me che gironzolo per casa e che richiedo attenzioni… - non volevo dare spiegazioni, ma ero stufa di sentirmi ripetere sempre le stesse cose.
Solo io sapevo come davvero era la situazione a Londra, solo io sapevo come stava Edward e i suoi impegni. Andava tutto bene, certamente, nell’ultima settimana però l’ospedale gli aveva dato più impegni, era stato cambiato di reparto e l’ambiente non gli piaceva come quello precedente, per cui adattarsi era difficile. Spesso si lamentava dei colleghi, delle infermiere…in realtà era qualche settimana che si lamentava di qualsiasi cosa. L’unica persona di cui non si lamentava ero io. I suoi genitori lo invitavano a pranzo e lui andava volentieri, giusto per staccare la spina dal suo appartamento, ma poi quando rientrava non era mai contento. Il livello di stress in lui era così alto da leggersi chiaramente in faccia, anche se non voleva ammetterlo. In più nelle ore libere studiava e a fine febbraio era riuscito a dare un esame davvero tosto per cui si era preparato a lungo. Sapevo che il percorso era ancora lungo, che il tirocinio sarebbe durato fino a Settembre e che dopo la laurea gli spettavano altri tre anni di gavetta prima di vedersi riconosciuto qualche titolo. Lui dice sempre che scegliere di fare il semplice medico, di non specializzarsi, è la via giusta per avere in mano qualcosa nel più breve tempo possibile…io penso sempre che sia una rinuncia che non è da lui. Non ho più cercato di convincerlo a continuare gli studi, ho lasciato che decidesse da sé, anche se nel futuro che immagino spero sempre non si debba pentire di questa scelta.
Proprio per questo periodo di forte stress ho pensato che non è il momento giusto per partire, stabilirmi a casa sua per tutto il tempo che resterò lì e dargli noia quando torna a casa stanco e distrutto. Forse la nostra storia funziona bene proprio perché siamo lontani, perché non c’è motivo di discussione, di litigio. Non si può mandare avanti una storia così all’infinito, lo so già…ma la paura di tornare a Londra e rivivere un brutto momento…mi blocca qui, in questa cittadina.
-Perché…Edward ti ha forse detto che non è il caso che tu parta? Gliene hai parlato? Gli hai chiesto lui cosa ne pensa?
Nel caso partissi, comunque non glielo direi. Preferirei mille volte sorprenderlo e vedere i suoi occhi brillare perché ci sono io, dall’altro lato della porta. Preferirei la gioia del momento, quella vera, pura senza filtri. Anche se…quando ho voluto fargli sorprese in passato, direttamente a casa sua, non è che siano venute esattamente bene.
Potrei provare a chiederglielo…potrei?
Mossa da una strana voglia e frenesia prendo il telefono e apro un foglio bianco per inviargli una mail.


From: bellswan@gmail.com
Object: Cosa ne dici se…
Sono fuori con gli altri e, per l’ennesima volta, mi hanno chiesto come mai il biglietto che mi hai regalato è ancora custodito nel comodino.


Invio e resto in attesa della sua risposta. Da lui sono le prime ore del mattino, so che è già al lavoro da un’ora mentre io sono qui a chiacchierare e far tardi davanti al secondo bicchiere di birra.
Cerco di fare attenzione alla conversazione, che finalmente si è spostata su Jacob e Maggie e la loro voglia di trovare una casetta tutta per loro. Seth ridacchia delle facce dell’altro ragazzo seduto al tavolino, mentre Leah e Maggie chiacchierano di dettagli di mobilia, arredamento vari, che fanno già venire l’orticaria al mio amico. Seth, nonostante abbia fatto pace con sua sorella, preferisce continuare a vivere a casa Swan, giusto per godersi a pieno la nuova sorellina e far disperare me!
Sento la vibrazione del telefono e le mie mani corrono da sole ad aprire la mail in arrivo. 


From: edcullen41@gmail.com
Object: Cosa ne dici se…
E tu cosa hai risposto?


Sorrido e digito in fretta.
“Che non è il momento adatto per partire e venire a trovarti perché sei stressato e rischio di aumentare il sovraccarico……”
L’attenzione non riesco più a focalizzarla sul gruppo e mi perdo ancora, nei miei pensieri, nelle mie fantasie, nei ricordi…Vorrei tanto baciarlo adesso, vorrei che fosse qui, vorrei riuscire a stringerlo forte e inspirare il suo profumo delizioso. Desidero sentire le sue mani sulla pelle, accarezzarmi, toccarmi, farmi venire i brividi da quanto è delizioso il contatto.
Nel momento in cui immagino la sua bocca che scende sul mio seno, la vibrazione mi avvisa della sua risposta e rimango di stucco.
“Ok…”
Rimango sbigottita di fronte a quella parola.
Ok.
Vorrei urlare che “Ok” non è una risposta adatta, che così non fa altro che confermare i miei dubbi e invece avrei bisogno di essere spronata a partire.
Parlagliene, mi hanno detto. Ho provato a intavolare un discorso…capisco che è al lavoro, che probabilmente non può usare il telefono, però mi aspettavo un po’ più di interesse. Anche se avesse risposto più tardi, in un momento libero, andava bene…come ha sempre fatto. E invece….ok.
Lascio il telefono nella borsa, determinata a scoprire di più nella prossima videochiamata.



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Ho dormito poco e male.
Sono due sere che guardo il soffitto finché gli occhi non si chiudono completamente. Sono due giorni che tento tutti i metodi per dormire, fallendo miseramente. Quando riesco ad addormentarmi fuori già inizia a vedersi una debole luce e mio padre, solitamente, si sta preparando per andare in centrale.
Il motivo?
Edward Cullen!
Poteva essere qualcun altro? No.
Poteva andare tutto bene, sempre bene, infinitamente bene? No.
Dalla sera dell’uscita con Leah e gli altri ci siamo scambiati alcune mail e siamo riusciti a parlare su Skype poco meno di due minuti; giusto il tempo di fare il punto della situazione, dirci che ci amiamo e spegnere. Lo so che probabilmente sono tutte cose che mi metto in testa da sola, ma è come se ci fosse qualcosa di non detto, come se la conversazione dell’altro giorno avesse spezzato qualcosa. Ero decisa a parlarci, ero convinta che avremmo risolto tutto, perché si trattava solo di fraintendimenti alla fine.
Avevo sempre il computer acceso, Skype sempre pronto a qualche telefonata, videochiamata o chattata veloce. Il cellulare aveva sempre la vibrazione e il suono così che potessi sentirlo ovunque. Non volevo perdere l’occasione di parlargli perché stavo facendo qualcosa.
Sapevo che stava lavorando e che nei momenti liberi si buttava a capofitto nei libri, cercavo sempre di tenerlo a mente. Per quello non l’avevo ancora chiamato e esortato a dirmi cosa non andasse. Non volevo che mi rispondesse “Bella, il lavoro mi sta massacrando e non ho tempo neppure per finire la relazione che devo consegnare tra poche settimane” e tutte le altre cose che mi avrebbero fatta sentire una deficiente. Alle volte sembravo infantile ed egoista, avevo il timore di sbagliare e di perderlo, ci eravamo promessi di dirci tutto, di chiarire, ed ora sentivo che c’era qualcosa che lui non mi stava dicendo. Non sapevo come affrontare questa situazione senza sembrare un insensibile che non capisce che è pieno di impegni e che la stanchezza lo massacra.
Stavo aiutando Sue a fare il bucato quando il telefono vibrò segnalandomi una mail.

  
From: edcullen41@gmail.com
Object: Vieni con me?
Ho bisogno di una vacanza, sole, mare, il caldo che mi fa sudare la pelle come un cammello…voglio partire domani e tornare il più tardi possibile. Vieni con me?


Sorrisi a quello strano messaggio, a volte era così sfinito da dire cose senza senso. Pensai ad un viaggio insieme, erano anni che non facevo una vacanza nel vero senso della parola. Il mare, una spiaggia…Certo, c’era sempre La Push, ma non era la stessa cosa. 


From: bellswan@gmail.com
Object: Le tue idee mi piacciono!
Non ricordo neppure più quando è stata la mia ultima vacanza! Accetterei volentieri…e dimmi, dove vorresti andare?


From: edcullen41@gmail.com
Object: Qualunque posto…
Allora è il momento buono per pianificarne una! Partiamo, non importa dove andiamo. Io e te, sole, caldo…una spiaggia intima così che possa spogliarti e fare l’amore con te sulla sabbia… Prenoto i biglietti!


From: bellswan@gmail.com
Object: E spiaggia deserta sia!
La proposta è davvero allettante! Mi piacerebbe anche una casetta sulla spiaggia, una di quelle tipiche, con le tende bianche svolazzanti, i balconi colorati, la sabbia che entra e sporca il pavimento…un cancelletto che si apre direttamente sulla spiaggia e il mare a pochi passi. E voglio un divano di vimini fuori, per fare l’amore con te con il suono delle onde di notte!


Non sapevo come mai aveva voglia di viaggiare così tanto con la fantasia, ma mi piaceva la piega che stava prendendo la nostra conversazione. Mi piaceva sapere di avere un uomo che mi amava, pronto a scappare con me, a condividere con me una vacanza, una casa, una vita. Non ne avevamo veramente parlato ma nei suoi occhi e nei suoi gesti avevo capito che la nostra relazione non si sarebbe fermata qui, saremmo andati avanti, avremmo costruito qualcosa insieme. Per davvero. 


From: edcullen41@gmail.com 
To: bellswan@gmail.com
Object: Non tentarmi…
Bimba, non fare così…o prenoto sul serio!
Mi manchi…Ti amo!


From: bellswan@gmail.com
Object: Non tentare neppure tu!
Come mai hai così tanta voglia di fuggire da lì? Problemi sul lavoro?
Mi manchi tanto anche tu, e ti amo, di più!



Rasentavamo il ridicolo, tanto eravamo romantici certe volte. Ce ne importava qualcosa? Ovviamente no. Di colpo tutte le insicurezze che avevo avuto nei due giorni erano sparite. Mi convinsi che le paranoie di quei giorni restavano tali, lui non mi trattava diversamente, non sembrava arrabbiato con me o deluso da qualcosa, anzi. Probabilmente per colpa del poco tempo a disposizione, per la stanchezza, i problemi sul lavoro, lo studio e tutto quello che lo preoccupava aveva semplicemente poco tempo da dedicarmi. Sapevo che poteva capitare, quando ha preso quell’aereo, subito dopo Natale, ero certa che ci sarebbero stati momenti come questo e la nostra promessa, la mia promessa, serviva proprio ad essere sicura che dall’altra parte nulla era cambiato. Mi aveva detto che mi amava, mi voleva con sé in vacanza e fantasticava di fare l’amore con me. Potevo essere più contenta?
Si, in realtà. Potevo prendere quel biglietto aereo ed utilizzarlo. Potevo raggiungerlo, coccolarlo, farmi prendere tra le sue braccia e dormire accanto a lui di notte.
Potevo farlo.
E lui? Cosa avrebbe fatto in quel caso? 



From: edcullen41@gmail.com
Object: Bisogno di alleviare lo stress!
 Al lavoro non ci sono più alti e bassi, ci sono solo bassi. C’è sempre qualche emergenza, qualcosa da fare, qualche motivo per restare ore in più. Quando arrivo a casa sono distrutto e non ho la forza di mettermi sui libri o davanti al computer. Sto tutto il giorno in piedi e quando mi stendo sul letto faccio fatica ad addormentarmi per il dolore alle gambe. Sono distrutto. Devo riprendere a fare qualche allenamento perché mi sto rammollendo!
E tutto questo alimenta lo stress. Quando ci rivedremo avrò i capelli bianchi.


From: bellswan@gmail.com
Object: Come alleviare lo stress!
Sarai bellissimo lo stesso, anche se avrai i capelli bianchi.
Come potresti fare? Ci sono molti modi per alleviare lo stress…potresti correre, fare a pugni…quello ti riesce bene, magari con Emmett!
Oppure potresti…cucinare! A me rilassa tantissimo mettermi ai fornelli, sbatacchiare un po’ di pentole qua e là!
Potresti stare sotto il getto d’acqua calda per lungo tempo e pensare a cose positive.
Oppure…



Speravo vivamente che stesse al gioco, che continuasse a scherzare con me e che, soprattutto, capisse dove volevo arrivare! Certe volte mi sentivo una sporcacciona…poi pensavo che era troppo tempo che non stavo con lui e i sensi di colpa passavano in un lampo!


From: edcullen41@gmail.com
Object: Oppure…
…se fossi qui….potrei sbatterti su ogni superficie e perdermi dentro di te!


Alla sua risposta mi sentii felice ed eccitata. Tanto eccitata. Mi mancava.
Le sue mani sulla mia pelle, le dita che mi stringevano la carne, l’indice e il pollice che giocavano con i miei capezzoli. Mi mancava la sua lingua birichina che scendeva lungo il mio corpo facendomi rabbrividire. Mi mancavano le sue dita che giocavano dentro di me mentre il suo corpo si stendeva piano sul mio. Mi mancava passare le mani sulla sua schiena, sentire i suoi muscoli sotto la pelle. Mi mancava guardarlo negli occhi nel momento in cui entrava in me. Mi mancava la sensazione di sentirmi completa. Percepivo l’umidità delle mie mutandine e chiusi gli occhi, immaginandolo qui di fianco a me, steso sul mio letto, mentre mi spogliava e mi adorava. 


From: bellswan@gmail.com
Object: Quanto…
…Mi vuoi?


From: edcullen41@gmail.com
Object: Così…
 …Tanto che lascerei tutto quello che ho qui per venire da te.



Era l’unica risposta che mi serviva. Ora sapevo cosa fare.
Continuammo quel gioco per un’altra mezzora. Mentre io organizzavo la mia vita per i giorni seguenti con grande difficoltà. Le mail si erano fatte più profonde, più spinte. Mi descriveva i luoghi dove voleva farlo. Il tavolo da biliardo, il divano del salotto, la doccia, sul tappetino in palestra dopo un finto incontro. Ero frustrata perché volevo disperatamente che fosse qui o che io fossi lì con lui e mettere in atto tutte le meravigliose cose che mi stava descrivendo.

From: edcullen41@gmail.com
Object: Diamoci una calmata…
Ovviamente sono al lavoro, prima sistemavo delle cartelle in ufficio ora è arrivata un’emergenza e devo prepararmi. Bimba mi manchi da morire, organizziamola davvero la vacanza, non vedo l’ora di stare con te. Spero almeno di riuscire a calmarmi o farò fatica a camminare per colpa di tutti questi pensieri su di noi…
Ti amo.


Scoppiai a ridere perché era davvero un pazzo. Mandarmi dei messaggi del genere mentre stava lavorando…folle! Provai ad immaginarlo mentre, chiuso in un ufficio, cercava di distrarsi un po’ e pensare ad altro mentre lavorava, anche solo nella mia mente era bellissimo. Pensai alle sue mani tra i capelli, al sorriso sghembo o lo sguardo malizioso in certi momenti. E mi vennero in mente tutte le parole che mi aveva detto nelle mail precedenti. A quella che mi aveva fatto tremare le gambe e le braccia e gettare la testa indietro pensando di vivere davvero quel momento.

“Voglio prenderti nella doccia. L’acqua che bagna i nostri corpi, la tua pelle morbida e liscia sotto il mio tocco. Voglio inginocchiarmi di fronte a te e sollevare una gamba per poterti leccare, per sentire il tuo sapore, per rendermi conto dell’effetto che ti faccio. Voglio vederti inginocchiata di fronte a me, le mie mani tra i tuoi capelli e perdermi nella tua bocca. Poi ti prenderei in braccio e non ti lascerei più, mi immergerei dentro di te e mi perderei fino a sentire le tue urla, fino a sentire il mio nome urlato nel momento del piacere. Dio quanto ti voglio bimba...”

In quel momento avevo seriamente pensato di togliermi quella frustrazione da sola, di scendere con le mani lungo il mio corpo… Ma non ero sola in casa e dovevo tenere la porta aperta per sentire Claire. L’avrei ucciso in quel momento, mi aveva gettata nello sconforto più totale, eccitata e lontana dalla fonte dei miei desideri. Però lo amavo e mi aveva tolto ogni dubbio dalla testa anzi, mi aveva chiarito cosa dovevo fare, come comportarmi.
Afferrai il portatile e prenotai il volo.
Londra, arrivo.

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