Edward Pov.
Pensavo di aver esagerato con quei messaggi, credevo che poi l’imbarazzo
ci avrebbe travolto e le nostre conversazioni sarebbero state
monosillabiche o talmente veloci da riuscire a salutarci a malapena.
Invece c’è stata una svolta sorprendente. Bella era sempre felice,
allegra, riusciva a farmi stare bene anche da lontano; mi faceva
svagare, mi raccontava cose che le accadevano oppure semplicemente
chiacchierava di qualche libro o di qualche desiderio che aveva. La cosa
più strabiliante era che iniziava lei le provocazioni alle volte,
bastava un’immagine di un nuovo completo intimo acquistato durante lo
shopping di quei mesi. Oppure mi scriveva “Sto facendo un bagno
rilassante…e ti penso”. Stava diventando sempre più spigliata, più
intraprendente, coraggiosa, meno pudica con me e mi faceva impazzire.
Era una benedizione. Quei quattro giorni trascorsi dopo il nostro
scambio di e-mail è stato il periodo migliore da quando me ne sono
andato da Forks.
Avrei tanto voluto che usasse il mio regalo, lo desideravo con tutto il
cuore, ma non me la sentivo di chiederglielo. Come potevo? Le avevo
promesso che ce l’avremmo fatta ugualmente, anche senza vederci. Le
avevo promesso che l’avrei chiamata ogni sera, ogni giorno, che anche se
avrei sentito la sua mancanza avrei resistito. Ho fatto tutto ciò che
le avevo detto in quell’aeroporto mesi fa, nonostante fosse difficile,
anche se a volte guardavo la mia valigia nell’angolo della camera e mi
prendeva la voglia di riempirla e volare da lei. Non avevo vacanze
disponibili, non potevo lasciare il tirocinio per scappare da lei e
volare da una parte all’altra del mondo non mi avrebbe permesso di
studiare per gli esami che mi mancavano. Così la sera mi stendevo a
letto, il tomo sulle gambe e la foto di lei accanto, sul comodino,
leggevo un paragrafo e davo uno sguardo veloce a lei, un paragrafo ed un
sorriso alla cornice digitale che mi ha regalato. Mi sentivo
infinitamente stupido, ma un po’ meno solo. Ci sono stati momenti di
sconforto, momenti in cui la vedevo dall’altra parte dello schermo e mi
sarebbe piaciuto accarezzarla, toccarla, baciarla. Ci sono stati attimi
in cui il cuore mi faceva male nel non vederla la mattina accanto a me,
ma ho resistito. Volevo farcela, volevo essere forte per lei e per noi.
Anche se adesso che aspetto la metro per tornare a casa vorrei solo
prendere l’altra linea, quella che potrebbe portarmi direttamente in
aeroporto per salire sul primo aereo e volare da lei. E invece afferro
il cellulare e compongo un messaggio.
“E’ in questi momenti che mi manchi come l’aria. Sto aspettando la
metro e quando arriverò a casa mi sentirò così solo senza di te. Non
vedo l’ora di terminare gli studi, il tirocinio.”
Prendo posto, sperando di arrivare a casa il prima possibile, fiondarmi
sotto la doccia e stendermi sul divano per un’ora, almeno un’ora di
riposo prima di mettermi a studiare. Il telefono vibra e sorrido, già
sapendo che sarà lei.
“E dopo cosa farai?”
Non ne avevamo mai parlato seriamente, anche se quando sono stato da lei
a Natale mi aveva fatto capire che tornare a Londra sarebbe stato
difficile e che avrebbe tanto voluto restare lì. Suo padre poi, nel
momento in cui ci ha sentiti affrontare l’argomento per sommi capi,
aveva quasi ringhiato a sentire la mia città, comprensibilmente timoroso
di veder fuggire la propria bambina ancora una volta. Inoltre ha
firmato un contratto di lavoro poco tempo fa, è esaltata e allegra,
orgogliosa di sé stessa e piena di vita da quando ha avuto tra le mani
quelle carte, venire qui significherebbe ricominciare daccapo e non so
quanto la faccia felice. Io dovrei comunque ripartire da zero, farmi un
giro, un tirocinio di anni in un ospedale che poi potrebbe assumermi
definitivamente…e siccome stare in due città separate e continuare
questa vita non ha senso e non è contemplabile, l’unica alternativa è
trasferirmi da lei.
“Dopo devo cercarmi assolutamente un lavoro, stipendiato quel minimo
da garantirmi un affitto, un’assicurazione, il frigorifero pieno e
magari qualche piccola vacanza!”
Svelare le mie carte subito no, grazie! Mi piace giocare un po’, portare
la conversazione all’estremo, fin quando lei esasperata mi dice “E ci
voleva tanto a dirlo?”
Lo faccio spesso, perché so che lei capisce ciò che voglio dirle,
viaggiamo sulla stessa lunghezza d’onda ed è meraviglioso. E quindi sta
al gioco, ma poi esplode!
“Ah, allora posso mettere una spunta a tutte queste cose, io ho
un lavoro da settembre e non me ne dovrò preoccupare. Viaggiare mi
piacerebbe tanto, ma non da sola….”
“Partiamo insieme! Dove vorresti andare?”
“A parte che al momento non puoi viaggiare, bello! Ti ricordo
che sei impegnato…ed io ho voglia di farmi una vacanza, di
viaggiare…prendere l’aereo e andare via, almeno per qualche settimana,
non serve molto! E tu non puoi, attualmente!”
“A parte che parlavo di futuro, bella! Comunque hai ragione, al
momento non posso e sognare mi porta inevitabilmente a farmi male da
solo…quindi restiamo con i piedi per terra!”
Parliamo del più e del meno, della sua mattinata, di cosa fa a casa e
della piccola Claire che sta crescendo. Argomenti leggeri, anche se
vorrei dirle “Ti amo! Sali sul primo aereo che ti porta qui da me,
cazzo!”
Una volta a casa mi trascino fino al bagno, lascio gli abiti per terra e
mi immergo sotto il getto caldo. Mi rilasso, chiudo gli occhi e cerco
di non pensare al lavoro, agli esami, alla tesi che sto scrivendo e alla
distanza tra me e Bella. Tornare a casa ogni giorno e trovarla così
vuota mi lascia scontento. Ho sempre amato la solitudine, almeno negli
ultimi anni; stavo bene nell’avere ogni angolo di casa mia libero, tutto
e solo per me. Da quando, però, Isabella è entrata nella mia vita ha
scombussolato anche quella parte di me che amava starsene per i fatti
propri. Mi piacerebbe avere le sue scarpe all’entrata, due tazze sporche
nel lavello la mattina, i suoi biscotti preferiti nella credenza e lo
spazzolino di fianco al mio; amerei guardare i miei vestiti accanto ai
suoi, nell’armadio, nella lavatrice, nel cesto dei panni sporchi. Ogni
tanto mi perdo nelle mie fantasie, immagino di guardare il suo pigiama
sotto il cuscino, nell’altra parte di letto; oppure sogno di inciampare
negli abiti che ci siamo tolti nel salotto per fare l’amore. Non mi sono
mai sentito di parlarne con lei, di dirle delle mie fantasie, di
spiegarle che non voglio perdere tempo, che una vita con lei è tutto ciò
che desidero ora; non gliel’ho mai detto e avrei dovuto farlo perché
odio non dirle le cose. Quando esco dalla doccia mi sento meglio, come
se l’acqua avesse spazzato via anche parte dei miei problemi, dei miei
dubbi e del mio senso di solitudine, anche se so bene che una volta
raggiunto il mio letto, stanotte, ricadrò nell’oblio. Infilo una tuta,
afferro il tomo dell’esame che mi aspetta il prossimo mese e raggiungo
il divano. Mi stendo e appoggio il libro su di me.
“Pronto per studiare?”
Il suo messaggio mi arriva nel momento in cui le stavo mandando il mio,
decido di inviarglielo ugualmente con un sorriso ebete sul volto. E’
capitato più volte che mi anticipasse di qualche secondo, come se avesse
una telecamerina o un sensore puntato su di me. E come faccio a non
sorridere per questa connessione che c’è tra noi, nonostante le miglia
che ci dividono?
“Postazione sul divano, presa! Libro sulle gambe e si parte a
studiare. So che rischio di addormentarmi ma sono stanco e ho bisogno di
stare comodo…”
“Non ti conviene riposare un po’ prima di ricominciare?”
“No, voglio impegnare la mente…”
“Perché?”
“Perché non vorrei avere questo libro di mezzo, vorrei che ci fossi
tu, abbracciarti stretta mentre guardiamo un film qualsiasi alla tv.”
“Ti amo Edward”
“Anche io bimba!”
Ma non faccio in tempo neppure ad aprire la pagina in cui c’è il
segnalibro che il citofono suona. Chi diavolo è a quest’ora? Non si
rendono conto che disturbano la gente? Io avrei potuto essere a letto
dopo la giornata che ho avuto! Dovevo studiare, è vero, ma gli altri
mica lo sanno. Speriamo che sia stato solo lo scherzo di un ragazzino.
Resto sdraiato e apro il libro, ma il citofono suona ancora una volta e
tocca alzarmi. Quando guardo dalla telecamera e noto che è James. Che ci
fa qui? Gli apro senza rispondere e cerco di sistemare lo schifo che ho
lasciato sul tavolino ieri sera, prima di aprire la porta di ingresso.
Quando suona alla porta mi affretto per aprirgli.
-Ehi, che ci fai qui stasera?
-Sono passato per un saluto! Mi trovavo da queste parti in realtà perché
ho finito da poco un appuntamento con un cliente e quindi mi sono
fermato. Ti dispiace?
-No figurati… - lo precedo in cucina dove metto a fare del caffè, tanto
per avere qualcosa da offrirgli, devo chiamare Rose e chiederle se può
fare la spesa al posto mio domani. –Allora, che mi dici di nuovo?
-Sto seguendo a distanza i lavori per la ristrutturazione del palazzo
dove instaurerò la sede secondaria della società e mi stanno togliendo
il fiato e il sonno. Ci sono sempre problemi, disguidi, colore
sbagliato, tende corte e cose del genere. Mi domando perchè assumo capi
operai e capi progetto se poi chiamano me comunque!
-Perché tu sei il capo dei vari capi progetto, non è ovvio?! – sghignazziamo mentre afferro due tazze e servo il caffè.
-Tu invece? Non ti fai più vedere in giro da settimane! Sempre a casa o
in ospedale! –sbuffo, perché ha dannatamente ragione. Vorrei avere anche
io più tempo da dedicare agli amici, alla pulizia di casa, alla spesa,
alle piccole cose di tutti i giorni!
-E’ un periodo così pieno che non so neppure dove sbattere la testa! –
lui si guarda attorno, forse nota il caos in cui regna la cucina e
annuisce. Purtroppo non ho avuto tempo di sistemare tutto, i piatti che
ho usato sono nel lavello, hanno formato una pila impossibile da gestire
in pochi minuti di tempo, bicchieri ovunque, e il secchio
dell’immondizia colmo di roba. –Vado in ospedale, quando torno sono
distrutto, faccio una doccia e mi metto a studiare, mangio un sandwich
al volo o una di quelle vaschette di cibo precotto che mia madre odia
con tutta sé stessa! Poi il più delle volte mi addormento sul libro e
non ho tempo di sistemare tutto… Davvero! Sarei passato al locale se
avessi avuto un buco libero! – per fortuna non mi fa la predica su come
gestire la mia vita, come farebbe invece Rose o mia madre, per quello è
il mio migliore amico, perché sa quando cambiare discorso e quando
starsene zitto.
Mi racconta, finalmente, che quando a gennaio Seth è venuto a Londra gli
ha confessato che si trasferirà a Seattle. Mi ha spiegato che ne hanno
parlato a lungo, che hanno deciso come procedere, se andare a vivere
insieme subito, se stare separati, se affrettare le cose o meno ma che
ancora adesso, nonostante siano passati mesi, non sono giunti a una
risposta definitiva. Mi dice che lui avrebbe già comprato la casa o
almeno ne avrebbe cercata qualcuna, ma Seth vuole andarci piano. Gli
faccio notare che si sta trasferendo a Seattle, non in periferia a
Londra, ma nello stato di Washington che sta dall’altra parte del mondo
rispetto a noi. Questo non è forse affrettare le cose? E allora mi
spiega che Seth ha appena riallacciato i rapporti con Leah e che sta
pensando di tornare a casa con lei, almeno per un po’, il tempo per
tornare affiatati come una volta e che lui proprio non se la sente di
dividerli. James farebbe di tutto per Seth, qualsiasi cosa. Sono sicuro
che se il suo compagno gli avesse chiesto di restare a Londra, per il
loro bene, lui l’avrebbe fatto nonostante tutte le sofferenze che deve
patire qui. Sono sicuro che se gli chiedesse di partire ora, in questo
preciso istante, James lascerebbe qualsiasi cosa qui per correre da lui.
E’ fatto così, si è innamorato, ama con tutto sé stesso ed è una
persona nuova. Da quando sta con Seth è più posato, educato, sempre
quell’aria un po’ bizzarra che lo contraddistingue ma…è l’uomo più
fedele che conosco, dopo mio padre. Di sicuro il suo compagno può
ritenersi in una botte di ferro.
Come sono certo che Seth provi esattamente le stesse cose, anche se
forse ha un po’ più paura a lanciarsi, buttarsi…sarà colpa dell’età o
della distanza a cui non era pronto. Però li vedo bene insieme. Sono una
coppia fantastica e sapere che sono felici, sapere che il mio migliore
amico è innamorato ed è contento, mi fa stare bene.
-Tu con Bella? Avete pianificato qualcosa?
-No… - scuoto la testa guardando il mio caffè tra le mani. –Non ho
ancora avuto modo di dirle cosa voglio fare né tanto meno lei lo dice a
me. E’ frustrante per certi versi perché vorrei sapere cosa desidera, ma
allo stesso tempo va bene così. Probabilmente è presto, io sono ancora
bloccato qui…lei non vuole tornare! Le ho regalato un biglietto aereo e,
in quattro mesi, ancora non l’ha usato. Mi domando cosa la frena…
Me l’ero chiesto tantissime volte, poi mi davo sempre delle risposte
precise. Suo padre, il rapporto tra Seth e Leah che doveva ancora
solidificarsi, oppure i colloqui di lavoro, anche solo la sua sorellina;
tutte motivazioni che uscivano fuori dalla mia testa. Ma chiederle
“Perché?” non ne ho mai avuto il coraggio. Non volevo che si sentisse
obbligata a partire, però…mi mancava. Mi mancava da morire. Sapevo che
sarebbe stato difficile e speravo che con quel regalo trovasse l’input
per attraversare ancora una volta l’oceano e tornare da me, un giorno o
l’altro.
E dopo tutto questo tempo ancora non l’aveva fatto. Mi dispiaceva, ma
potevo capire la situazione e da una parte andava bene anche così. Non
volevo obbligarla, non volevo che si sentisse oppressa, se a lei stava
bene mantenere le distanze me lo facevo piacere anche a me. Solo, certi
giorni, era più difficile di altri.
Sto per aggiungere delle cose quando il suo cellulare squilla. Si alza e
si allontana di scatto, senza far domande recepisco poche cose della
conversazione.
“Si…Si…D’accordo! Perfetto! Ciao”
-Devo andare! Edward non fare passare mesi prima di farti vedere! Siamo
intesi? – annuisco e lo accompagno alla porta quando sto quasi per
aprire si ferma di botto e si da una manata sulla fronte. –Che scemo! –
dice ad alta voce. –Mi sono dimenticato che ti ho portato un regalo e
non te l’ho neppure dato!
Sto per chiedergli di che cosa si tratta e perché il regalo quando il
campanello della porta suona. Sono certo che sia Rose che viene a
salutarmi per cui apro la porta senza neppure controllare.
La figura oltre la soglia mi blocca il respiro.
Il braccio mi ricade lungo il fianco, gli occhi sgranati e un sorriso ebete sul viso.
-Bella…- sussurro ma sono sicuro che mi ha sentito. Lei sorride
dolcemente e piega la testa di lato alzando leggermente le spalle. E’
bellissima. Indossa un leggero trench beige che arriva a metà coscia,
con una sciarpetta leggera, un paio di tronchetti alla caviglia ed un
jeans stretto a sigaretta. A lato un trolley che le arriva al fianco e
la borsa appoggiata sopra.
-Beh, questo sarebbe il mio regalo. Vi lascio ai festeggiamenti! – la
risata di James mi riscuote e faccio appena in tempo a vederlo salutare
Bella per poi andarsene.
-Posso entrare? – la sua voce! Dio, la sua voce! Sentirla così vicina mi
è mancata tantissimo. Mi sposto e le sorrido. Una volta chiusa la porta
mi avvicino da dietro e infilo le braccia attorno alla sua vita,
piegandomi per lasciarle un bacio sulla guancia.
-Non ci credo che sei qui…Dio che bello! – lei ridacchia e poi si gira
tra le mie braccia. I miei occhi sono nei suoi, le fronti si toccano, le
labbra si incurvano in due sorrisi meravigliosi. –Ti prego dimmi che
sei reale!
-Certo che sono reale Edward!- ride forte e il cuore mi batte furioso
nel petto. E’ tra le mie braccia! In un attimo appoggio le mie labbra
sulle sue, morbide e fruttate grazie al solito lucida labbra. E’ la sua
lingua che cerca la mia, che spinge per farmi aprire le labbra; è sempre
lei che si insinua dentro la mia bocca e inizia la guerra con la mia
lingua. Mi sento su di giri e in quel momento anche quella misera
distanza tra i nostri corpi è tanta. La prendo in braccio e le sue gambe
si stringono automaticamente attorno al mio bacino. Mi muovo come
posso, fino ad arrivare al divano dove mi siedo portandola sopra di me.
Le sciolgo la sciarpa e le tolgo il trench, tutto senza mai lasciare le
sue labbra. Le sue mani invece sono nei miei capelli, li tira, graffia,
ci passa le dita attraverso, è un rituale che mi è mancato tantissimo in
questi mesi.
Quando ci stacchiamo entrambi abbiamo il fiatone e restiamo con le
fronti appoggiate una all’altra per riprenderci. Occhi negli occhi. Dita
intrecciate.
-Sei bellissima. E sei qui. Dio, quanto ti amo! – le lascio un bacio a stampo premendo forte e lei sorride.
-Mi mancavi Edward, mi mancavi tanto… - la bacio ancora, ed ancora, ed
ancora, finché mi ritrovo con le mani sotto la sua maglietta ad
accarezzare la sua pelle nuda. Si ricopre di brividi quando arrivo alla
chiusura del reggiseno e scommetto che può percepire benissimo la
presenza del mio amico ai piani bassi.
-Devo calmarmi. Devo calmarmi. Devo calmarmi! – scoppia a ridere e scuote la testa scendendo dalle mie gambe.
-Abbiamo tempo. Ora scommetto che non hai cenato, vero?
-In realtà non ho neppure fame al momento! Torna qui, per favore! – lei
scuote la testa e raggiunge la sua roba ancora all’entrata.
-Ti ho preso delle cose, ti conosco e sapevo che ti saresti accontentato
del solito panino con quello che ti permetteva la credenza. Così prima
di venire qui ho preso del cibo cinese! – al suono di quelle parole mi
borbotta già lo stomaco. Sì, mi conosce proprio bene.
La raggiungo mentre afferra i manici di una busta di plastica e li
estrae dall’impugnatura della valigia, ecco perché non avevo notato il
cibo prima. La abbraccio da dietro, questa volta il suo collo è libero e
posso immergermi.
-Ti amo, ti amo! Non puoi immaginare quanto! Grazie di essere qui… - la
stringo forte e lei mi abbraccia come può, intrecciando le dita a quelle
di una mia mano mentre le altre vanno ai miei capelli. Il cibo già
dimenticato. Le lascio numerosi baci sul collo per poi arrivare alle
labbra in un bacio ricambiato con dolcezza. –Cosa ne dici se ti cambi e
mi raggiungi in cucina? Io intanto preparo per due…
-In realtà non vorrei disfare la valigia…dopo devo andare dalle ragazze e
non vorrei lasciare cose qui e cose lì…insomma ho paura di perdere
qualcosa. – la guardo e cerco di capire cosa sta dicendo. Cosa ha detto?
Penso di non aver capito. Dopo andrà dalle ragazze? Dopo quando?
Ci deve essere un problema di fondo…perché non ho capito cosa ha detto.
La guardo per cercare di capire cosa ha detto, come se fissarla potesse
darmi qualche spiegazione in più. Pensavo dormisse qui, l’ho dato per
scontato. E’ casa mia, siamo stati lontani mesi, abbiamo tanto tempo da
recuperare e…non la voglio lontana per nulla al mondo. Voglio vederla
nel mio letto la mattina quando mi sveglio, voglio tenerla stretta,
voglio che si riappropri della sua parte di letto. La voglio qui, nel
mio appartamento. Da nessun’altra parte.
-Scusa…puoi ripetere?
-Ho detto che dopo vado dalle ragazze e…
-No, alt. Stop. Dove vai tu?
-Dalle ragazze, ho ancora la mia camera, me l’hanno detto un paio di giorni fa…
-Tu non hai capito! Se pensi che ti lasci uscire da quella porta ti
sbagli di grosso, soprattutto se pensi che ti farei dormire in un altro
posto che non sia il mio letto. – la guardo mentre si morde il labbro e
sul volto appare un sorriso, sono pronto a dirle che non deve pensare
più una cosa del genere quando scoppia a ridermi in faccia. La osservo e
si piega proprio per quanto è sconvolta da qualcosa che, evidentemente,
la diverte tanto.
-Oddio, lo sapevo! Dovevo prendermi una telecamera! – si ricompone e mi
fa l’occhiolino. –Scherzavo Edward, non dormirei in nessun altro letto
che non sia il tuo, questa notte e tutte le altre notti che starò a
Londra! – si avvicina e mi bacia piano prima di spostarsi in velocità e
passarmi la busta con il cibo.
-Che simpatica! – le dico ironico e ottengo una linguaccia in risposta.
–Dovrei punirti e lasciarti andare davvero a casa delle ragazze, così
vediamo poi che succede! – lei mi sorride maliziosamente e scuoto la
testa, sa già dove voglio arrivare. –Ma mi sei mancata troppo! Fai come
fossi a casa tua! – le stringo la mano prima di dirigermi in cucina e
guardarla portare la valigia in camera da letto. Dio, è qui e la sua
valigia sarà nella mia camera, lo spazzolino nel mio bagno e dormirà con
me tutta la notte, tutte le notti. La stanchezza ora è sparita
completamente!
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