giovedì 18 giugno 2015

Capitolo 60

Bella Pov.

Quando sono salita sull’aereo che da New York mi avrebbe portato a Londra stringevo tra le mani la chiave di casa di Edward, ero indecisa se utilizzarla o meno. Mi ero fatta un programmino nella mia testa che nemmeno Einstein! Avevo chiamato James appena avevo prenotato il volo, il quale con molta grazia mi aveva risposto “Era ora donna! Al tuo uomo sarebbero venuti i calli alle mani se aspettavi ancora un po’!”
Le guance, come al solito, si erano arrossate, ma avevo saputo rispondere a tono scatenando infinite risate.

“Non ti preoccupare Bella, mi farò trovare fuori dall’aeroporto, a patto che tu mi faccia assistere alla scena di lui che apre la porta!”

Non me l’ero sentita di dirgli di no, anche perché mi avrebbe dato un grosso aiuto ed era il minimo che potessi fare. Quando ho suonato al suo appartamento ero elettrizzata, non vedevo l’ora di farmi abbracciare e di stringerlo a me. Quando ha aperto la porta invece era pietrificato, pareva che l’effetto “sorpresa” l’avesse immobilizzato. Ripensando alla sua faccia mentre si rendeva conto che ero io, ed ero reale, mi viene da ridere.
Rido meno, invece, se penso a cosa ha detto quella sera nel letto.

“Sposiamoci!”

Ho alzato la testa di scatto in quel momento e l’ho guardato come se avesse la faccia di un mostro, ero terrorizzata. Non poteva uscirsene con una cosa del genere, era troppo presto.
Ma lui aveva elencato tutti i suoi motivi, validi e profondi, e aveva messo in chiaro che non voleva sposarsi ora, domani o il mese prossimo ma desiderava sposarsi, comprare casa e avere dei bambini. Il mio cuore era esploso, non c’era neppure un piccolo brandello all’interno di me che potesse battere e pompare sangue nelle vene. Ero paralizzata, fredda, immobile. Ha continuato a parlare per un tempo infinito, non so neppure quanto è passato davvero, so solo che non ho seguito tutto il suo discorso perché ero fuori dal mondo. Mi ha detto “Pensaci per favore” ed ha lasciato cadere il discorso, ferito dal mio comportamento.
Non è che non voglia sposarmi, certo che nella mia testa penso e viaggio con la fantasia, solo che non pensavo che anche lui lo facesse e con questi risvolti. Pensavo che volesse cercarsi un buon lavoro, magari l’avrei convinto a frequentare qualche specializzazione, a mettere più solidità nelle fondamenta della sua vita, che ne so! Anche io sognavo ma non a questi livelli.
Matrimonio.
Volevo davvero sposarmi?
Ho dormito male quella notte e la mattina mi sono svegliata più rincoglionita del giorno precedente. Edward mi aveva lasciata dormire, perché mi aveva vista davvero stanca la sera prima, lui era andato a lavorare e in cucina c’erano due brioche ed il caffè solo da azionare, un biglietto che diceva: “Buongiorno piccola, ci vediamo stasera, ti amo!” con un cuore storto in cui all’interno c’era una E.
Era maledettamente dolce.
Quel pomeriggio quando era tornato a casa la cucina e l’appartamento profumavano di pulito, sul fuoco c’era già la nostra cena e in forno un dolce leggero con delle pesche che avevo trovato sul porta frutta.
Avevamo trascorso giorni meravigliosi. Lui andava al lavoro ogni mattina, cercava di tornare a casa appena finito il turno se non incombevano emergenze, riusciva a procurare sempre un fiore da regalarmi accompagnato da quella richiesta così passionale e difficile da accettare: “Sposami!”
Due settimane, tanto è passato da quando sono arrivata a Londra per lui. Siamo usciti solo tre sere, giusto per non restare sempre chiusi nell’appartamento a tubare come piccioni. Una volta siamo andati a trovare le ragazze, Tanya e Alice avevano finalmente chiarito i loro dissapori e riuscivano a convivere civilmente, mentre Angela era sempre la solita.
Abbiamo chiacchierato tantissimo, temevo che il giorno dopo le mie corde vocali ne potessero risentire! Le risate non sono mai mancate, anche nel ricordare episodi di quei mesi di convivenza che avevo scordato; di comune accordo, silenzioso, non abbiamo mai affrontato l’argomento incidente-lite e quanto era successo a me ed Edward. Eravamo persone mature, pronte ad affrontare ciò che si sarebbe presentato nel nostro cammino, senza però dover continuamente guardarsi indietro e flagellarsi per gli errori commessi. Avevamo chiesto scusa, avevamo sofferto, avevamo “pagato” le nostre colpe; era tempo di lasciarsi tutto quanto dietro le spalle e continuare la propria vita da questo momento in poi.
Quella sera Alice e Angela ci avevano sorpresi dichiarando di voler continuare la convivenza in quell’appartamento, nonostante a breve avrebbero finito i corsi. Mi parve strano che proprio la seconda rimanesse a Londra, lontano dalla famiglia ma non indagai oltre, avremmo avuto tempo e modo di chiacchierare e aggiornarci anche su quella questione. Stavo pensando di prolungare di qualche settimana la mia permanenza, per poter assistere alla consegna della Laurea delle mie tre coinquiline, così da non dover fare avanti e indietro da un capo all’altro del mondo. Ovviamente la parte più difficile era dirlo e spiegarlo a mio padre, che si era raccomandato più e più volte di tornare a casa, senza ferite possibilmente.
 Aiutai Tanya a sistemare la cucina, mentre Alice ed Angela chiacchieravano sul divano con Edward. Stare con loro mi mancava terribilmente. Il giorno in cui ero atterrata desideravo correre all’appartamento e stringerle forte, nonostante ci sentissimo e ci vedessimo con le videochiamate almeno una o due volte a settimana, era troppo che non ci vedevamo e mi mancavano: loro, l’appartamento e tutta quella quotidianità che avevo fatto mia nei mesi in qui sono stata a Londra.

Flashback

-Tra te e Edward allora va tutto bene? Sicura?
-Si Tanya! Potrebbe andare meglio solo se lui si trasferisse con me a Forks o Seattle o dove sarà. In quel momento potrei davvero pensare di ballare la Samba in bikini davanti a tutti! – la sua risata coinvolge anche me, con le mani a bagno nel lavello per ripulire le cose che non ci sono state in lavastoviglie. Avevo insistito per lavare i piatti, volevo sentirmi parte di quella casa come tempo fa. –E qui le cose come vanno? E bada che intendo veramente, non la facciata che tu e le altre mettete su ogni volta.
-Sapevo che Angy e Alice avevano intenzione di vivere qui anche…anche dopo. Speravo mi chiedessero di rimanere, o che mi facessero capire che ero la benvenuta. Ma a quanto pare non è così…
Sgranai gli occhi a quella confessione, mi girai ad osservarla mentre se ne stava con la schiena appoggiata al bancone, le braccia incrociate sotto il seno e lo sguardo al pavimento.
-Tanya, ma cosa dici? Le ragazze ti vogliono qui…! Perché non gliene hai parlato? – scrolla le spalle, facendola sembrare più tenera che mai.
-Ho litigato con mia madre. In questo periodo tra me ed Angela non so chi abbia sparato e ricevuto più colpi dalla propria famiglia. Non so se sia il profondo momento di crisi che i miei genitori stanno vivendo ma non voglio tornare a casa. Vorrei che Alice mi chiedesse di rimanere…in fondo abbiamo sempre avuto la privacy di cui avevamo bisogno qui, no? Poi quando verrà il momento di muovere i primi passi da sola, o con un uomo al mio fianco, allora lascerei l’appartamento. Tu cosa ne pensi?
-Penso che tu debba parlare con Alice ed Angela, ora, stasera e mettere in chiaro ogni cosa. Sono sicura che aspettavano solo che fossi tu a chiederlo!

Flashback

Aver visto la mia ex coinquilina in quelle condizioni mi aveva stretto lo stomaco forte, tanto da portarmi delle lacrime agli occhi. Così debole, così tenera e affranta non l’avevo mai vista e mi dispiaceva non essere lì e fare parte della loro vita. Quando rientrammo a casa, quella sera, avevo raccontato la conversazione a Edward che mi aveva stretto tra le sue braccia sul letto matrimoniale, dopo esserci abbandonati alla passione.
“Ti mancano” aveva detto e io avevo semplicemente annuito. “Non le perderai piccola, anche se sarete sempre lontane, troverete il modo per vedervi, sentirvi, fare parte della vita una dell’altra. Avete legato tantissimo e sono sicuro che il tempo mi darà ragione!”
Mi ero addormentata rassicurata dal suo tono calmo e dalle parole dolci e avvolgenti che aveva usato, sapevo che ci credeva realmente ed io mi fidavo di lui.
La seconda volta che abbiamo lasciato l’appartamento è stato per andare a trovare James. Neanche a dirlo sembrava la persona più felice del mondo. Si vedeva lontano un miglio quanto, il rapporto tra lui ed Edward, fosse forte perché nonostante i periodi passati, le liti e le discussioni, erano ancora qui a condividere la routine o i momenti speciali.
La serata era passata in allegria, qualche birra di troppo, battute leggere e alcune pesanti ma sempre in amicizia. Mi sentivo felice e serena, avere James nel pacchetto delle mie amicizie era importantissimo per me; mi aveva aiutata, supportata, mi aveva aperto gli occhi certe volte e ascoltata, in più era il compagno perfetto per Seth e già questo mi riempiva il cuore.
La terza uscita è stata una cena a casa Cullen. L’abbraccio in cui Esme mi aveva racchiusa nel momento in cui mi aveva vista oltre la soglia era qualcosa di indescrivibile. Mi era mancata anche lei. Quella serata era stata più strana delle altre due, probabilmente per le persone con cui condividevamo il tavolo, Edward era a suo agio, ovviamente, mentre io mi chiedevo sempre cosa pensassero di me i suoi genitori. Potevo anche non essere la loro persona preferita dato tutto quello che era successo, tutto il dolore che avevo fatto passare a loro figlio. Usciti da quella casa però, non mi sono sentita pesante o afflitta dai sensi di colpa o additata come quella che aveva lasciato; avevo il cuore leggero e un bel sorriso sul volto. Erano stati gentili, sorridenti, amorevoli; non avevano fatto domande inopportune, probabilmente Edward o Rosalie li avevano già messi al corrente di ciò che stava succedendo. Tornati a casa, sotto un leggero lenzuolo sui nostri corpi nudi, Edward aveva intrecciato le mie dita con le sue, accarezzandomi la pancia dolcemente, mentre l’altro braccio era sotto la mia testa.
“Sposami” aveva ribadito. Ridacchiai e scossi la testa, non era possibile che continuasse con quella richiesta assurda e prematura. Non aveva ancora capito che non potevamo in alcun modo mettere delle basi in quel momento?! Lui era ancora a Londra, chissà per quanto tempo ci sarebbe rimasto; io ero a Forks e il mio lavoro iniziava a settembre a Seattle. Non potevamo pensare di sposarci, e dove poi? Cosa ne avremmo fatto di due anelli d’oro, benedetti dal Signore, se stavamo in due poli opposti del mondo?
“Sposami” ripeté. Mi sembrava un disco rotto certe volte.
“Edward, piantala!”
“Sposami”
“Buonanotte!” ridacchiai scuotendo la testa e chiusi gli occhi. Ero già con un piede nel mondo dei sogni quando sentii un sussurro nell’orecchio.
“Sei tutto ciò che voglio, sposami!”
Avevo ignorato la sua richiesta, ma quelle parole mi avevano riempito il cuore di una gioia infinita. Lui ci credeva davvero, insisteva così tanto perché era ciò che davvero voleva, ciò di cui aveva bisogno: mettere delle basi, delle certezze. Potevo capirlo, oh se potevo!
La mia vita richiedeva delle solide fondamenta da anni eppure io non mi sono mai preoccupata di buttare cemento e mattoni per poter reggere tutto il resto.

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Quando mi svegliai quella mattina incontrai la cornice elettronica che avevo regalato ad Edward per Natale. Le foto che avevo scelto per lui si susseguivano lentamente, accompagnando il mio risveglio con dolcezza. La sera precedente avevo chiamato mio padre spiegandogli del mio ritorno posticipato, aveva brontolato nei suoi soliti suoni incomprensibili, ma aveva ascoltato le mie motivazioni fino alla fine per poi darmi la sua approvazione. Nei mesi in cui ero stata a casa, sotto il suo stesso tetto, protetta dal suo amore sconfinato ero riuscita a recuperare un po’ di quei momenti che, stando a Londra, avevo perso. Non volevo perderne altri, l’affetto che provavo per lui superava ogni cosa, anche i miei desideri più forti; Londra non era più un opzione, Seattle sarebbe stata casa mia, raggiungibile in auto con quasi tre ore di viaggio, ma abbastanza vicini per poterci vedere ogni fine settimana. Restare in quella città per altre due settimane, però, era tutto ciò che volevo per il momento: partecipare alla consegna della Laurea alle mie tre amiche, festeggiare con loro e soprattutto avere altri momenti con Edward.
Mi alzai dal letto certa di trovare la colazione pronta sul tavolo, con tanto di biglietto del buongiorno. Era una routine che aveva iniziato fin dal mio primo giorno di permanenza in quella casa ed era talmente romantico e dolce che non volevo privarmene. Quando arrivai in cucina però, trovai un piatto colmo di pancakes a fianco una bottiglia di sciroppo d’acero, della frutta e una ciotolina con delle gocce di cioccolato. Il caffè come al solito pronto da azionare, la mia tazza preferita in bella mostra ed un fiore. Una margheritona bianca con qualche sfumatura rosa. Non sembrava neppure reale dalla perfezione dei petali e dalla delicatezza che traspariva. Sotto il fiore un biglietto.

“Sposami. Sposami. Sposami. Sposami. Sposami. Sposami.
Ps: Buongiorno amore.”

Avevo riso per dieci minuti, senza accorgermi che il viso era inondato di lacrime.
Quell’uomo era tutto scemo!
Mi ero goduta la colazione sorridente e felice, una strana allegria in corpo e la voglia di farlo impazzire tanto quanto lui stava facendo ammattire me. Avevo preparato un leggero sandwich per pranzo e avevo fatto la brava donna di casa, stirando le camice che avevamo lavato e facendo una lavatrice con i panni sporchi. Sembrava davvero di vivere insieme e quando quel pensiero passò per la mia testa mi immobilizzai con il ferro da stiro in mano. Era…pazzesco. Adesso mi perseguitava anche nella testa! Preparai una quiche con prosciutto, formaggio e verdure e la lasciai cuocere in forno e poi mi dedicai a me stessa.
Mi concessi un lungo bagno con il bagno schiuma all’olio di Argan che avevo comprato al supermercato in quei giorni, usai il mio solito shampoo fruttato che lo faceva impazzire e mi curai minuziosamente.
Indossai il completino bluette di pizzo che non aveva ancora visto, un abitino a metà coscia color porpora e lasciai i capelli cadere sulle spalle. Niente trucco, nessun profumo né tacchi pericolosamente alti, preferisco i piedi nudi e credo che per lui sia la stessa cosa.
Quando sento il rumore della chiave che gira nella toppa della serratura sorrido e mi incoraggio internamente. “Che si aprano le danze!” dico a me stessa sorridendo maliziosamente. Ero decisa a farlo impazzire da subito, sicura che avrebbe faticato a resistere per tutta la durata della cena e per il film che avevo intenzione di guardare. Volevo giocare, e farlo impazzire come lui stava facendo con me era una dolce vendetta. Gli avrei sorriso maliziosamente, avrei fatto in modo che le mie gambe si scoprissero più del dovuto, la scollatura poi faceva tutto da sola! Piccoli sfioramenti, timbro di voce suadente e la lingua che usciva fuori a raccogliere piccole goccioline di acqua dalla mia bocca…avevo pianificato tutto e mi sentivo su di giri per il gioco che avevo creato, certa che alla fine mi sarei divertita ancora di più quando avrebbe perso il controllo!
Preparo le tovagliette e i piatti sull’isola osservandolo con la coda dell’occhio mentre lascia le scarpe in entrata e appoggia la borsa e le chiavi sul mobiletto. Mi faccio trovare impegnata quando entra in cucina.
-Bimba…sei splendida! – si avvicina per darmi un bacio e sento la sua lingua accarezzarmi le labbra da subito, ma questa volta facciamo a modo mio, tesoro! Mi stacco velocemente afferrando le presine e tirando fuori la pirofila con la nostra cena.
-Bentornato, spero tu abbia fame! – annuisce mentre si lava le mani e mi sembra così dannatamente naturale servirgli una fetta nel piatto che pare un gesto consolidato nel tempo. Io e lui, due sgabelli affiancati, né radio né televisione accesa e la possibilità di raccontarci della nostra giornata. E’ questa la vita che voglio?
Desidero così il mio futuro? Sentirmi serena quando lui varca la porta di casa, osservarlo mentre si spoglia e mi raggiunge in cucina, assimilare e godere dei piccoli gesti che compongono la nostra routine. E’ ciò che desidero?
Si.
Mi sento sicura, amata, profondamente in sintonia con l’uomo che è seduto al mio fianco, mi sento completa e mi sento serena. Condividere dei semplici momenti come un pasto, essere sicura di esserci quando torna a casa dal lavoro, sapere di preparare la cena per il mio uomo, per i miei figli. Se mi guardo fra dieci anni immagino una casa tutta nostra, due lavori dignitosi e che ci soddisfano, dei bambini e le fedi al dito.
Si.
E’ ciò che voglio.
Come ho fatto a rendermene conto ora e soltanto ora?
Tutte le immagini della mia testa mi rimandavano a una casa e noi due insieme, dei bambini è vero, sognavo ma forse lo facevo ancora con gli occhi chiusi, senza vedere che attorno a me stavo già costruendo tutto questo. Improvvisamente mi sentii a disagio, ancora enormemente felice, ma con un peso sul cuore che non voleva andarsene neanche con le cannonate.
-Ehi bimba, che succede? – scuoto la testa e prendo una forchettata della mia cena, rendendomi conto solo adesso che è fredda e che la sua porzione nel piatto è già terminata. Devo essermi persa nelle fughe dei miei pensieri più a lungo di quello che credevo. –Sei sicura? Ti vedo strana questa sera…sei in un’altra galassia per caso?!
-No Edward, tutto bene… - lo rassicuro sorridendo –Raccontami la tua giornata! – è quando inizia a parlare che mi ricordo della colazione di quella mattina, della dolcezza delle sue attenzioni, del suo amore e della sua richiesta. Il sorriso che nasce sulla mia faccia è il più grande che posso ricordare.
-Bella? Bella mi stai ascoltando? – scuoto la testa e fisso i miei occhi nei suoi.

-Sposiamoci!

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